Lei di cosa si occupa?
Io mi occupo di povertà, di mestiere, sono povera. D’altronde vengo da una famiglia di poveri, sa, mio padre era povero – docente ordinario di Povertà all’Università di Bristol – e suo padre, mio nonno, era povero fin da ragazzino. Anche mia madre è povera, si occupa di poverismo dalla fine degli anni settanta.
Insomma, io sono cresciuta in questo ambiente molto particolare e certo ciò ha influito nelle mie scelte. Essere povero è un lavoro intenso, sono occupata fin dalle prime ore della giornata: mi sveglio alle sette e mezza e alle otto sono già povera. Non è un lavoro 8-14, anche dopo l’orario di ufficio non si riesce mai a staccare del tutto.
È una disciplina in crescita, non c’è dubbio: sempre più persone si affacciano oggi al mondo della povertà. Mi ricordo quando eravamo in pochissimi, almeno qui, a occuparci di povertà, mentre ora non è raro sentire che qualcuno, di mestiere, sia povero. Io spero che questa tendenza di crescita continui e che i giovani passino dalla precarietà alla povertà, perché la mia decennale esperienza sul campo mi insegna che il mondo ha sempre più bisogno di poveri.
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